Kulbokas: in Ucraina la luce di Gesù risplende anche nel buio della guerra
17 gennaio 2024
La testimonianza del nunzio apostolico che a Kharkhiv ha celebrato la messa di Natale. «Le allerte aeree hanno suonato proprio nei momenti più culmine delle celebrazioni, quando eravamo di fronte a Gesù».
Secondo Natale di guerra per l’Ucraina, devastata da quasi due anni da un tragico conflitto che non accenna a placarsi. Solo pochi giorni fa, le forze russe hanno lanciato l’attacco più massiccio dal 24 febbraio 2022. A pagarne le conseguenze, in termini di vittime civili, in particolare è stata la capitale ucraina di Kyiv. «Anche nel periodo di Natale la guerra non è sparita, la guerra continua, afferma, in un’intervista ai media vaticani, il Nunzio apostolico nel Paese, monsignor Visvaldas Kulbokas.
È stato significativo anche, per esempio, la sera della vigilia di Natale concelebrando nella cattedrale romano-cattolica a Kyiv, oppure il 1 mo gennaio nella Giornata mondiale della pace, abbiamo notato con i vescovi che le allerte aeree hanno suonato proprio nei momenti culmine delle celebrazioni, quando eravamo di fronte a Gesù. Quindi il Natale si unisce a ciò che è il rischio che la guerra comporta. Ma in questo senso il Natale addirittura si evidenzia ancora di più perché la luce di Gesù risplende nel buio, risplende nelle difficoltà. Per esempio, in questi giorni anche i nostri collaboratori della nunziatura oppure tutte le persone con cui ho avuto contatto — ciascuno vive la guerra sulla propria pelle perché, per esempio, a Kyiv non c’è nessun quartiere che non abbia visto le esplosioni, che non abbia sentito tremare le case, le finestre — ciascuno ha «ricevuto la sua parte», per così dire, ciascuno ha ricevuto «la sua porzione» di missili in ogni quartiere. Quindi tutta la città ne ha risentito: sia coloro che vivono in centro, sia in periferia. Però, in questo modo il Natale diventa ancora più chiaro perché, come dice Gesù: «Non cercate la pace nel mondo perché il mondo è incapace di darvela. Quindi, cercatela tra le mie braccia». Quindi, un significato ancora più chiaro».
Una delle città più colpite da questi nuovi attacchi è stata Kharkiv. Lei aveva visitato Kharkiv poco prima dell’inizio di questi attacchi. Quale è stata la sua esperienza di questa visita e cosa ha portato nel cuore lasciando la città?
Sono andato a Kharkiv proprio il giorno di Natale e sono andato sia per me — per pregare meglio — sia per stare con chi soffre di più. Perché quando poi ho detto, ho scritto ai miei amici che sono stato a Kharkiv, non sapete quanti mi hanno risposto: «Quanto avremmo voluto stare anche noi lì!» C’è tantissima gente che vorrebbe visitare questa città non per vedere le distruzioni, ma per pregare insieme nelle situazioni così difficili. Perché per me il Natale più profondo è proprio questo: pregare insieme ai fedeli riuniti nella cattedrale — abbiamo celebrato nella cattedrale romano- cattolica, poi si è unito anche il vescovo greco-cattolico, e abbiamo continuato con la comunità greco-cattolica nella loro cattedrale — vedere gli occhi della gente, sacerdoti fedeli, gli occhi raccolti perché loro sanno che non hanno nulla, nessuno li proteggerà, proprio nessuno, non c’è nessun organismo mondiale, non c’è nessun esercito capace di proteggerli — rimane solo Dio. E quindi celebrare il Natale con loro è l’esperienza più profonda che ci possa essere. Ed è proprio questo che cercavo: pregare con chi vive seriamente il Natale. Il Natale rimane gioioso anche in queste condizioni, perché Gesù è il nostro Redentore che nasce, però questa gioia è unita a una grande serietà. Quindi addirittura mi sono reso conto che difficilmente in questo periodo potrei celebrare il Natale in un luogo dove la gente è troppo rilassata perché mi sentirei male e quindi anche per me era l’unico modo possibile di celebrare il Natale.
Recentemente l’amministrazione di Kharkiv ha annunciato che le scuole materne vengono trasferite nei sotterranei, cioè nella metro della città, per permettere ai bambini di stare con le loro maestre, per stare un po’ insieme. Lei come ha appreso questa notizia e cosa può dire dei bambini che ha visto lì a Kharkiv?
I bambini sono sempre presenti nella mia mente quando prego: ogni mattina, ma soprattutto anche nelle festività di Natale, comincio la mia preghiera con unire la mia mente a quella dei bambini, unire anche tanti prigionieri di guerra, ma anche civili. Non sapete quanti conosco anche personalmente, quante famiglie che hanno i loro cari da qualche parte in Russia, non sappiamo dove, ma loro non sono neanche militari: sono medici, sono civili, oppure abbiamo i nostri due sacerdoti cattolici Redentoristi padre Ivan Levytskyi e padre Bohdan Heleta… Io comincio la preghiera da loro nella mia mente. E poi in occasione di Natale, ho avuto modo di incontrare anche il sindaco di Kharkiv e una delle cose di cui abbiamo parlato era proprio i bambini e il sindaco era parzialmente soddisfatto, nel senso che la città già sta ultimando le preparazioni per aprire la prima scuola dell’infanzia sotterranea e poi nel mese di marzo, se tutto va bene, anche una prima scuola sotterranea. Quindi, è davvero sconcertante che nella nostra epoca, in questa civilizzazione così avanzata, abbiamo raggiunto, per così dire, «un livello di sviluppo tale» da cominciare a creare le scuole sotto terra perché altrimenti a Kharkiv non c’è modo per i giovani di andare a scuola. E per esempio, anche a livello statistico: a Kharkiv, come diceva il sindaco, prima c’erano 715 scuole e durante questi quasi due anni di bombardamenti oltre 300 scuole sono state seriamente danneggiate — quasi la metà delle scuole. E oltre al danno della distruzione, non ci sono nemmeno condizioni per andare a scuola. Quindi da quasi due anni lì i ragazzi possono studiare soltanto online e perciò è un grande obiettivo quello di creare le scuole sotto terra. È impressionante, ma senza questa soluzione molto difficile, non si può andare avanti.
Eccellenza, Lei ha parlato dell’importanza per Lei personalmente, anche per le altre persone, di stare accanto alle persone che si trovano nelle condizioni molto difficili come quella a Kharkiv: è una benedizione, un dono, che credo, che hanno sperimentato anche le persone che sono venute dall’estero per stare accanto alla gente in Ucraina. Per Lei personalmente, quanto è stato importante sentire questo supporto attraverso la presenza da parte delle persone che sono venute a visitare Lei?
Sì, come giustamente menzionato, la presenza, l’aiuto è importante sotto tre aspetti: spirituale cioè la preghiera, la preghiera di tutto il mondo; il secondo è l’aiuto umanitario perché in realtà molte regioni come quella di Kharkiv vivono quasi esclusivamente di aiuti umanitari; e poi anche quello psicologico: di non stare soli. Questo è importante: non stare soli ma anche vedere l’altro che è venuto che riesce a capire la difficoltà perché altrimenti c’è un grande rischio che evidentemente la guerra non fa più notizia perché sempre lontana da tanti, invece questa vicinanza fisica, personale almeno ci consola. Per dare anche un esempio: a Kharkiv brevemente ho incontrato anche suor Daria Panast, suora greco-cattolica della Congregazione di San Giuseppe, la quale alcuni mesi fa, portando aiuti umanitari, è stata ferita in un bombardamento, insieme a lei sono state altre tre persone. Anche questa è una missione delle religiose, delle suore di oggigiorno: portare aiuti dove nessuno riesce a portarli. Quando ho chiesto a suor Daria: «Ma dopo essere stata ferita, qualcuno era stato in grado di aiutarvi?» Lei mi ha risposo: «No, perché lì non c’era nessuno intorno», perché la loro macchina con gli aiuti umanitari era la sola in tutta quella zona. Soltanto i militari ucraini li hanno visti e hanno capito che era successo qualcosa, li hanno raggiunti per salvarli. Perciò questa vicinanza fisica è importante da tutti i punti di vista: come aiuto personale, aiuto umanitario o aiuto psicologico e spirituale. E poi è stato impressionante vedere la stessa suor Daria che, guarita, di nuovo è ritornata alla catechesi con i bambini, ai servizi della Caritas e ai servizi nella parrocchia. Quindi si va avanti, si va bombardati, si viene feriti e poi ci si riprende e si continua. Quindi io direi che anche per chi viene, chi viene dall’estero, è importante anche come dono vedere che tipo di vocazione cristiana viviamo oggigiorno.
Svitlana Dukhovych, Vatican News