Messaggio del Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina in Ucraina riguardo alla guerra e alla giusta pace nel contesto delle nuove ideologie
10 marzo 2024
"L’Ucraina è diventata il centro dei cambiamenti globali e sta affrontando prove terribili oggi. Il male è reale: abbiamo visto il suo volto. Le voci delle persone innocenti uccise e crudelmente torturate, brutalmente violentate e deportate contro la loro volontà gridano alla coscienza del mondo".
In uscita BA 24/044
«LIBERATE L’OPPRESSO DALLE MANI DELL’OPPRESSORE» (Ger. 22,3)
MESSAGGIO
del Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina in Ucraina
riguardo alla guerra e alla giusta pace nel contesto delle nuove ideologie
La sua salvezza è vicina a chi lo teme
Cari in Cristo!
Introduzione
1. Da dieci anni viviamo in condizioni di guerra, di cui da due anni l’Ucraina è avvolta dalle fiamme di una guerra di liberazione dall’attacco su vasta scala dell’aggressore russo. Il tempo di guerra è terribilmente doloroso e crudele: infligge innumerevoli ferite a ogni persona e all’intera società. Ogni giorno riceviamo notizie tragiche sulla morte degli ucraini; molti hanno già perso familiari e amici; assistiamo alla distruzione di ciò che ci è più caro: la nostra Patria, il benessere della nostra famiglia, la nostra felicità, i nostri sogni. In queste circostanze, è assai comprensibile la tendenza della persona ad arrendersi completamente alle emozioni: cedere alla desolazione e nella disperazione, o permettere all’odio di regnare nell’anima. Questi sentimenti, disperazione e odio, ci rendono schiavi e feriscono la nostra dignità, che ci è stata donata dal Creatore. Tali stati d’animo di molti ucraini sono ben espressi dalle parole del salmista Davide: «Trema tutta l’anima mia. Ma tu, Signore, fino a quando?» (Sal 6,4); «Fino a quando su di me prevarrà il mio nemico? Guarda, rispondimi, Signore, mio Dio!» (Sal 13,4). Allo stesso tempo, una parte della società sta diventando indifferente: alcune persone, colpite dalla guerra, forse meno di tante altre, cercano di ignorarla, quasi dimenticandosene. Dietro una tale posizione può nascondersi sia un meccanismo psicologico di autodifesa sia una malattia morale di indifferenza.
2. Prima di tutto, è necessario comprendere che per vincere nella lotta contro un nemico così subdolo è necessaria la pazienza. Essa non ha nulla in comune con l’indifferenza o il distacco da ciò che è importante per il paese e il popolo. Al contrario, la pazienza è sempre collegata con l’attività e con l’amore sacrificale, pronta a servire per un lungo periodo della storia: «E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla» (Gc 1,4). Con un’esplosione di sentimenti o entusiasmo a breve termine non si può affrontare una lunga distanza che richiede sforzi estenuanti. Non c’è da stupirsi che il metropolita Andrey Sheptytskyi incoraggiava i giovani dicendo: «Non con scosse di un solo istante, ma con uno sforzo incessante e sacrifici continui fino al sangue e alla morte di molte generazioni, la nazione avanza»[1]. Questo è ben compreso dai nostri difensori, che mantengono la guardia e trattengono l’aggressore ogni giorno, per lunghe settimane e mesi. Pertanto, invitiamo tutti alla pazienza e ad un atto attivo di amore, e con il presente messaggio cerchiamo di presentare alcuni principi e fondamenti morali su cui si potrà costruire una pace duratura e giusta nella nostra Patria.
3. Una comprensione chiara dei fondamenti morali e spirituali, che guidano le nostre azioni durante la guerra e sui quali costruiremo il nostro futuro dopo la sua conclusione e il raggiungimento di una pace giusta, è assolutamente necessaria affinché i nostri sforzi perseveranti siano un movimento concreto mirato all’obiettivo, verso la vittoria desiderata. Il cristianesimo in generale e la dottrina sociale della Chiesa cattolica in particolare hanno una lunga tradizione di riflessione teologica e filosofica sulla pace e sulla guerra, che è utile alle condizioni attuali del nostro paese. Pertanto, il nostro obiettivo è condividere con la società ucraina e tutte le persone di buona volontà una parte significativa di questi tesori.
4. La guerra della Russia contro l’Ucraina pone la millenaria tradizione cristiana della comprensione della pace e della guerra di fronte a un nuovo insieme di sfide e problemi. A livello internazionale vediamo il sostegno al nostro Stato, ma allo stesso tempo ci imbattiamo nella mancanza di comprensione di tutta la profondità e della gravità degli eventi, con speranze di una facile risoluzione del conflitto. A volte sentiamo appelli troppo affrettati alla «pace», che purtroppo non sempre vengono collegati alla legittima richiesta di giustizia. «Curano alla leggera la ferita del mio popolo, dicendo: ”Pace, pace!”, ma pace non c’è», richiama alla nostra coscienza il profeta Geremia (Ger 6,14). Pertanto, la dottrina cristiana sulla pace e sulla guerra dovrebbe essere considerata nel contesto dell’esperienza ucraina contemporanea, in modo che possa portare frutti desiderati e illuminare con la verità evangelica le nostre aspirazioni e sforzi. Questo messaggio ha come obbiettivo, da un lato, aiutare i nostri connazionali a diventare più accorti e forti, arricchendosi del pensiero cristiano antico sulla pace e sulla guerra, e dall’altro, contribuire per una migliore comprensione da parte della comunità internazionale delle sfide odierne, nonché del posto dell’Ucraina e degli ucraini sulla mappa spirituale del mondo contemporaneo.
I. Cause e origini della moderna guerra russa contro l’Ucraina
5. È impossibile comprendere le ragioni della guerra della Russia contro l’Ucraina e trovare adeguati mezzi spirituali per la vittoria e il raggiungimento di una pace giusta senza comprendere il contesto più ampio degli eventi contemporanei, senza la consapevolezza dei principi fondamentali della giustizia sociale, sia delle relazioni sociali all’interno di ogni Stato giuridico sia delle relazioni internazionali e dei fondamenti del diritto internazionale. Le radici di ciò che sta accadendo oggi risalgono almeno al secolo scorso, se non addirittura a periodi più antichi. Il XX secolo ha visto l’emergere in Europa, prima di tutto in Germania e in Russia, i regimi totalitari che sono stati la causa di terribili guerre e numerosi crimini contro l’umanità. La caratteristica principale del totalitarismo è il disprezzo per la libertà e la dignità umana. In questo senso, i regimi totalitari sono forme di quella organizzazione statale, che nella tradizione intellettuale cristiana ha preso il nome di tirannia[2]. I tiranni, così come la lotta contro di essi per la libertà, sono noti fin dai primi tempi della storia dell’umanità, tuttavia nei totalitarismi del XX secolo la tirannia ha assunto proporzioni senza precedenti. In primo luogo, nella lotta contro la libertà, il totalitarismo ha utilizzato mezzi tecnologici moderni a lui contemporanei, che non esistevano in passato (radio, cinematografo, armi di nuova generazione, armi di distruzione sistematica di massa come le camere a gas, ecc.). Questi mezzi tecnici hanno garantito il controllo totale sui sudditi e hanno causato un numero senza precedenti di vittime, che raggiungeva decine di milioni. In secondo luogo, il totalitarismo ha iniziato a controllare non solo il comportamento sociale dell’individuo, ma anche la sfera privata della sua vita. In questo modo, il totalitarismo differisce da un’altra forma di tirannia: l’autoritarismo. Quest’ultimo, per lo meno, lascia a una persona un certo spazio personale a condizione di lealtà esterna. Al contrario, i governanti totalitari bramano di sottomettere l’anima, di prendere il controllo completo della personalità umana: il suddito dello stato totalitario deve adorare i propri aguzzini. Il totalitarismo ha un carattere pseudoreligioso: i tiranni del XX secolo distruggevano o opprimevano la Chiesa, perché erano in competizione con la religione e volevano sostituire con la propria ideologia i valori spirituali delle religioni tradizionali.
6. A seguito della Seconda guerra mondiale, uno dei due principali mostri totalitari del XX secolo, la Germania nazionalsocialista, subì una sconfitta. L’ideologia totalitaria nazista e i suoi crimini furono processati a Norimberga. Nei decenni successivi, la Germania dell’Ovest attraversò un difficile e doloroso processo di lustrazione e divenne uno Stato democratico. Al contrario, il secondo mostro totalitario, l’Unione Sovietica, il cui nucleo era rappresentato dalla Russia comunista, non solo non fu distrutto, ma apparve al mondo come uno dei vincitori della guerra, pretendendo il ruolo di principale liberatore dal nazismo. Per questo, uno dei quattro giudici al Tribunale di Norimberga era un rappresentante dell’Unione Sovietica, anche se i crimini commessi dei governanti comunisti non furono meno gravi, se non maggiori, dei crimini dei leader della Germania nazista. Tuttavia, già l’Ecclesiaste avvertiva: «Poiché non si dà una sentenza immediata contro una cattiva azione, per questo il cuore dei figli dell’uomo è pieno di voglia di fare il male» (Eccl. 8,11). Così, dopo il 1945, l’URSS ampliò addirittura la sfera geografica della sua influenza e conquistò, tra gli altri, i paesi dell’Europa centro-orientale, creando regimi satellite e instaurando il cosiddetto «blocco orientale» degli stati comunisti, che si opponevano ai paesi del mondo libero. Ci sono voluti più di quarant’anni di «guerra fredda» affinché l’Unione Sovietica comunista e atea giungesse a un punto di completo declino ideologico, economico e sociale e alla fin fine cessasse di esistere.
7. Il crollo dell’URSS nel 1991 portò la liberazione a quei paesi dell’Europa centrale e orientale che facevano parte del blocco comunista. Il crollo ha anche offerto la possibilità di libertà e una vita dignitosa ai popoli che avevano creato le cosiddette «repubbliche socialiste» all’interno dell’Unione Sovietica. Tra questi popoli, vi erano gli ucraini, che ottennero l’indipendenza e lo stato nazionale che sognavano da secoli. Ricordiamo che, proprio la nostra Chiesa, che è stata criminalmente proibita dai governanti comunisti dopo la Seconda guerra mondiale, è stata perseguitata e costretta a operare clandestinamente durante tutto il periodo sovietico, è stata uno dei più importanti motori del cambiamento in Ucraina: la lotta per la legalizzazione della la Chiesa greco-cattolica ucraina tra il 1989 e il 1991 ha dato un importante contributo alla distruzione dell’impero ateo sovietico, e dopo il conseguimento dell’indipendenza, i fedeli della nostra Chiesa hanno cercato di sostenere spiritualmente il nuovo stato nazionale e sono stati ferventi sostenitori del suo abbandono del passato comunista totalitario. Il cammino verso la vera libertà e la liberazione dall’eredità negativa del XX secolo si è rivelato lungo e difficile per il nostro Paese. Tuttavia, lungo questo percorso vediamo buoni risultati, specialmente nell’esempio dello sviluppo di una forte società civile in Ucraina, come hanno dimostrato la Rivoluzione Arancione del 2004, dalla Rivoluzione della Dignità del 2013–2014 e dalla attuale lotta eroica contro l’aggressione russa. La Chiesa greco-cattolica ucraina è parte integrante della società civile e quindi non può rimanere in disparte dalle sue legittime aspirazioni ad avere un controllo adeguato sul potere statale, costruire una democrazia onesta, difendere la supremazia del diritto e della dignità umana.
8. Il grande errore del mondo libero dopo il crollo del blocco comunista è stato il fatto che, dalla Russia post-sovietica, riconosciuta come legittima erede dell’Unione Sovietica, i paesi democratici non hanno preteso la piena condanna dei crimini del periodo comunista e non hanno fatto pressione ai nuovi governanti russi a garantire la de-comunistizzazione, la lustrazione e la purificazione del loro stato dalle conseguenze del totalitarismo. In Russia non è stato fatto nulla di simile a quanto avvenuto in Germania dopo la Seconda guerra mondiale. Di conseguenza, si è creato un pensiero concentrato non sui valori spirituali, ma sull’economia: a molti nel mondo sembrava che il processo di democratizzazione in Russia sarebbe avvenuto automaticamente, a condizione dello sviluppo dell’imprenditorialità privata, del rafforzamento delle leve economiche e del commercio con i paesi del mondo libero. Le democrazie del mondo speravano che un approfondimento dei legami economici con la Russia avrebbe contribuito all’instaurazione della fiducia e della pace sostenibile. Tuttavia, queste speranze alla fine si sono rivelate vane, poiché al Cremlino questa situazione fu sfruttata per accumulare risorse per un’altra guerra. Il mondo democratico, forse senza rendersene conto, col passare del tempo, in nome del tornaconto economico, ha imparato ad adottare doppi standard nei rapporti con la Russia, che chiaramente contraddicono l’insegnamento cristiano, che comanda: «La carità non sia ipocrita: detestate il male, attaccatevi al bene» (Rm 12,9). Nella Bibbia, infatti, troviamo spesso testi che mettono in guardia sul pericolo di sottovalutare il potere del male e di sperare ingenuamente che il male semplicemente scompaia da qualche parte da solo: Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare (1 Pt 5,8; Ef 5,11; 2 Tm 4,3–4). Tuttavia, questi avvertimenti non sono stati presi in considerazione, quindi non solo il totalitarismo sovietico ha evitato il suo «Norimberga», ma anche la comunità mondiale non ha sviluppato meccanismi per individuare rapidamente il pericolo e rispondere a una possibile ripetizione delle tragedie del XX secolo. Tutto ciò ha portato a conseguenze fatali: oggi abbiamo a che fare con un tentativo di ripristinare in Russia il totalitarismo aggressivo e militarista nella sua nuova forma ibrida o postmoderna.
9. La nuova tirannia russa del XXI secolo è simile ai totalitarismi del XX secolo soprattutto per essere un nemico spietato della libertà e della dignità umana. Come i regimi totalitari del recente passato, essa si avvale di mezzi tecnici più recenti e ambisce di sottomettere non solo i corpi, ma anche le anime delle persone. La tirannia russa contemporanea, a prima vista, sembra meno rigida e totale rispetto al totalitarismo comunista e nazionalsocialista. Essa, in realtà trasforma le caratteristiche totalitarie del passato in forme molto più insidiose e quindi ancora più pericolose, in forme che possono essere definite ibride. La prima caratteristica del nuovo totalitarismo russo sta nel fatto che non ha bisogno di un’ideologia nella forma in cui era tipica del comunismo e del nazionalsocialismo, con il proprio «sacra scrittura», ovvero un corpus di testi «canonici» dei leader e degli ideologi, in cui è esposta una teoria più o meno coerente riguardo al futuro al fine di raggiungere una qualche utopico «grande obiettivo». Una tale ideologia, sebbene falsa e distorta, desiderava tuttavia avere un proprio «codice morale» e si serviva della linguaggio della giustizia sociale. Invece, il totalitarismo russo contemporaneo non pretende di avere un contenuto positivo e una teoria coesa; esso è la propaganda del nichilismo nelle sue forme peggiori, e il suo obiettivo è la corruzione morale dell’essere umano, la sua disumanizzazione per trasformarlo in uno strumento privo di volontà e indifferente ai valori morali, un mezzo per perpetrare crimini contro l’umanità. Cerca di minare la fede in qualsiasi fondamento morale e tenta i suoi sudditi con la possibilità di commettere violenza contro gli altri impunemente. Afferma che il mondo intero è governato solo dalla forza brutale, dall’inganno e dal calcolo di interesse personale. Proponendo varie teorie di cospirazione mondiale contro la Russia, giustifica qualsiasi crimine commesso dal governo russo contro altri popoli. Nel suo culto del leader, nel militarismo, nel corporativismo, nella propaganda palese di violenza brutale, nell’enfatizzazione della propria superiorità nazionale e razziale, la tirannia moderna di Mosca ha molto in comune con il fascismo del secolo scorso, quindi non sorprende che, per delineare la sua essenza, sia stata trovata la definizione appropriata di «rascismo».
10. La seconda caratteristica distintiva del totalitarismo ibrido russo contemporaneo risiede nel livello qualitativamente superiore degli strumenti tecnici. I mezzi utilizzati dai tiranni del XX secolo si sono radicalmente evoluti negli ultimi decenni; la cultura e la tecnologia hanno subìto un significativo progresso. Il rascismo moscovita sfrutta efficacemente i progressi della tecnologia dell’informazione, in particolare i social network. In una certa misura, la rivoluzione digitale (tecnologica) aiuta la propaganda russa a creare una realtà diversa, virtuale, che è radicalmente diversa dalla realtà, e addirittura la distorce. Nelle sue azioni pratiche, nella produzione di fake news e nella postulazione della post-verità, la propaganda russa contemporanea si avvale dei risultati di alcune correnti filosofiche del postmodernismo più radicali della fine del secolo scorso, che negavano l’esistenza di una verità oggettiva verificabile, e sostenevano che non esistono principi morali e legali naturali. É per questo motivo che la tirannia russa contemporanea può essere definita non solo ibrida, ma anche totalitarismo postmoderno.
11. Quando si tratta dell’Ucraina, a tutte queste caratteristiche di totalitarismo ibrido si sovrappone un altro fattore estremamente importante: l’eredità coloniale della Russia imperiale e zarista. Gran parte del territorio abitata dagli ucraini è stata conquistata e sottomessa dalla Moscovia, un’entità statale che ha assunto il nome di «Impero russo», nel periodo dalla seconda metà del XVII alla metà del XVIII secolo. Da allora il potere ha vietato e soppresso la cultura ucraina, la lingua, la Chiesa e l’autoconsapevolezza; essa sosteneva che gli ucraini fossero solo una parte più giovane, più piccola e secondaria del popolo russo. Come indicano numerosi testi e discorsi pubblici dei leader contemporanei russi di alto livello e propagandisti, oggi questa tradizionale ideologia imperiale moscovita ha assunto un carattere radicalmente militante e chiede la completa distruzione dello Stato ucraino e dell’identità ucraina in quanto tale. La guerra che la Russia sta perpetrando contro l’Ucraina ha tutte le caratteristiche di una guerra neocoloniale nel continente europeo con chiari segni di genocidio. La distruzione dell’ucrainità è diventata un programma politico della leadership russa, una sua mania, che viene sostenuta da gran parte dei cittadini dello stato aggressore, il che testimonia lo stato malsano della società russa. Proprio per questo gli appelli per trovare un compromesso con la Russia, che l’Ucraina sente di tanto in tanto da parte di alcuni membri della comunità internazionale, persino da parte di rappresentanti dell’ambiente religioso, non hanno alcun fondamento reale e dimostrano una mancanza di comprensione della situazione in cui si trovano gli ucraini. Il problema non risiede solo nel fatto che tali appelli sono immorali, perché ignorano i principi del rispetto della dignità umana e della pace giusta, ma anche perché sono semplicemente irrealistici: non è possibile raggiungere un compromesso se una delle parti nega l’esistenza stessa dell’altra. La Russia non lascia all’Ucraina altra scelta se non l’autodifesa militare. Questa guerra è una lotta di liberazione nazionale della popolazione civile ucraina per il diritto alla propria esistenza e al proprio futuro, per l’indipendenza, la libertà e la dignità dei nostri cittadini.
II. Dal «mondo russo» («russkiy mir») al «rascismo»: il percorso di degrado dello stato aggressore
12. Da quanto è stato detto sul totalitarismo ibrido russo contemporaneo, emerge il suo atteggiamento caratteristico nei confronti della religione e della Chiesa. Oggi in Russia, l’Ortodossia nella sua forma moscovita sta cercando di colmare il vuoto ideologico che è sorto a seguito della caduta del comunismo, considerando la religione come unostrumento per rafforzare il potere statale e trasformandola in uno strumento politico. In questo, i simboli del periodo comunista sono stranamente mescolati con i paradigmi mentali dell’impero zarista. La Chiesa ortodossa russa ha una lunga, si potrebbe dire dei multisecolare, tradizione di servizio al governo russo nelle sue varie forme storiche, a volte contraddittorie, dal periodo ortodosso del Regno di Mosca e l’Impero russo fino all’Unione Sovietica atea e comunista. In tutte queste formazioni statali, la leadership della Chiesa ortodossa russa ha cercato di essere in unità con il potere politico e di godere di uno status privilegiato. Non dovrebbe, quindi, sorprendere che il Patriarca di Mosca abbia sostenuto e benedetto la guerra criminale della Russia contro il popolo ucraino.
Tali azioni corrispondono alla tradizione moscovita di servire ideologicamente il potere da parte della Chiesa e al suo servilismo nei confronti di chi detiene il potere. Sfortunatamente, adesso questa antica tradizione imperiale, combinata con il totalitarismo post-comunista contemporaneo, ha portato a un vero crimine commesso dalla leadership del Patriarcato di Mosca: la propaganda della guerra. Proprio questa leadership ecclesiastica che ha generato la nuova ideologia genocida, oggi conosciuta come «mondo russo» (o «russkij mir»), offrendo volontariamente i suoi servigi al potere criminale e santificandolo. Con grande dolore osserviamo questo profondo declino morale del Patriarca di Mosca e dei suoi seguaci religiosi, poiché esso compromette il cristianesimo in quanto tale e mina la fiducia dei nostri contemporanei nella Chiesa e in tutti coloro che si avvalgono del nome di Cristo. Per questo, diventa oggi particolarmente urgente per tutti la necessità di «mettere alla prova gli spiriti» (1 Gv 4,1), per essere in grado di distinguere tra l’ideologia politica, nascosta dietro una retorica pseudo-cristiana, e la vera fede in Cristo.
13. La società ucraina, per molti anni, ha cercato di trasmettere alla comunità internazionale il fatto che in Russia stia emergendo una nuova ideologia aggressiva, che è una mescolanza di risentimento, nazionalismo e messianismo pseudo-religioso. Tuttavia, durante tutto il periodo precedente alla guerra, nessuno ci ha ascoltato. Questa ideologia, che il governo russo ha denominato «mondo russo» («russkiy mir»), si è concretizzata in Russia come ufficiale e l’unica corretta, mentre il ruolo del Patriarcato di Mosca nella creazione e diffusione di questa ideologia è ormai ben noto e indiscutibile. É proprio la Chiesa Ortodossa Russa a conferire all’ideologia del «mondo russo» uno spirito quasi religioso, raffigurando la Russia come l’ultimo baluardo del cristianesimo sulla terra, che si oppone alle forze del male. Allo stesso tempo, la Chiesa Ortodossa Russa all’arma nucleare più letale sulla terra attribuisce uno status quasi sacrale.
14. La dottrina quasi religiosa del «mondo russo» («russkiy mir») ha fornito una giustificazione ideologica per l’aggressione russa su vasta scala contro l’Ucraina. Questa aggressione ha riportato in superficie tutta una serie di questioni che sarebbero dovute rimanere nel passato. Sembrava che i tentativi di ideologizzazione del cristianesimo, identificandolo con un certo paese, nazione o nazioni con le loro ambizioni politiche e obiettivi, fossero da tempo un mero fatto storico, poiché tale strumentalizzazione è in contrasto con l’essenza stessa del cristianesimo. Tuttavia, oggi il mondo intero è attualmente testimone dell’uso più brutale da parte della Russia dei simboli cristiani e delle immagini evangeliche per giustificare l’oltraggio all’ordine internazionale, l’attacco a uno stato sovrano e massacri di massa. Il profeta Geremia di un simile inganno, diceva: «Tendono la loro lingua come il loro arco; non la verità ma la menzogna domina nella terra»(Ger 9,2).
15. Per i cristiani di tutto il mondo è importante che la dottrina del «mondo russo» («russkiy mir»)sia stata condannata da numerosi rappresentanti della stessa comunità ortodossa. In particolare, un gruppo di quasi 350 teologi ortodossi da tutto il mondo l’ha definita un’eresia e «un vile insegnamento privo di giustificazione»[3]. Secondo il pensiero di questi teologi, alla base dell’ideologia del «mondo russo» vi è la falsa dottrina dell’etnofiletismo. Questi ultimi, inoltre biasimano «tutti coloro che affermano il cesaropapismo, sostituendo la loro completa obbedienza al Signore crocifisso e risorto con quella di qualsiasi leader investito di potere di governo e che pretende di essere l’unto di Dio, indipendentemente dal titolo con cui è conosciuto: «Cesare’. «Imperatore’, «Zar’ o ”Presidente’”. E, come riassumono i teologi sopra menzionati, ”se si dovessero ritenere validi questi falsi principi, allora la Chiesa ortodossa cesserebbe di essere la Chiesa del Vangelo di Gesù Cristo, degli Apostoli, del Credo niceno-costantinopolitano, dei Concili ecumenici e dei Padri della Chiesa. L’unità diventerebbe intrinsecamente impossibile”[4].
16. Nell’Appello delle Chiese cristiane dell’Ucraina riguardo alla condanna dell’ideologia aggressiva del «mondo russo» («russkiy mir») si osserva, che «il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Kirill Gundyayev e la Chiesa ortodossa russa sono stati e rimangono uno dei principali artefici e propagandisti dell’ideologia del «mondo russo’, che prevede l’eccezionalità della «civilizzazione russa’ e il suo isolamento e antagonismo nei confronti degli altri. Tuttavia, tale posizione, selezionare gli altri sulla base dell’etnia o dell’appartenenza culturale, non corrisponde ai fondamenti della fede cristiana in quanto tale. Incitare all’ostilità e condurre una guerra basata sull’ideologia del ”mondo russo’ violano i principi cristiani e contraddicono le norme spirituali che la Chiesa dovrebbe proclamare. Questa ideologia rappresenta oggi una sfida alla predicazione del Vangelo nel mondo contemporaneo e distrugge la credibilità della testimonianza cristiana, indipendentemente dalla confessione”[5].
17. Questa dottrina quasi-cristiana, alla fine, è degenerata in una vera e propria ideologia del rascismo con il suo culto del leader e dei morti, il suo passato mitologizzato, il corporativismo tipico del fascismo, la censura totale, la coltivazione delle teorie del complotto, la propaganda centralizzata e la guerra per l’annientamento di un’altra nazione. Si crea l’impressione che il rascismo abbia combinato in sé tutte le precedenti costruzioni ideologiche, a partire dall’Impero moscovita con le sue idee messianiche di «Santa Russia» e «Terza Roma» per finire all’URSS con il suo imperialismo aggressivo e la ricerca del dominio globale.
18. Tale degenerazione della natura cristiana della Chiesa ortodossa russa ha messo in luce le grandi debolezze del dialogo ecumenico fino ad ora. I suoi partecipanti, pur avendo la buona volontà e intenzioni, sono rimasti sordi agli avvertimenti che il Patriarcato di Mosca, come ai tempi dell’URSS, sta strumentalizzando soltanto questo dialogo. Alla fine, siamo arrivati a un punto in cui questa strumentalizzazione è diventata evidente e la formula quasi-ideologica del «dialogo a tutti i costi» è contraddittoria con il principio evangelico del «dialogo nella verità».
19. A questo va menzionato che neanche la pratica europea della «realpolitik» si è dimostrata efficace, spesso piegata alservilismo di fronte ai potenti di questo mondo. Quest’ultimo è stato considerato un approccio ragionevole che tiene conto delle realtà della vita. Tuttavia, tale posizione è piuttosto un segno di condanna e un accettazione dell’apparente incapacità del Vangelo di illuminare le deviazioni della vita umana, dove la conduce «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1 Gv 2,16). Oggi il mondo ha bisogno proprio della voce profetica della Chiesa, che parlerà con la lingua della giustizia, si schiererà dalla parte degli oppressi e farà vergognare e condannerà l’oppressore.
20. La fatica del mondo cristiano di trovare soluzioni spirituali e di visione del mondo adeguate a queste sfide poste dalla Russia è in parte causata dal fatto che anche gli attuali postulati cristiani hanno subìto una certa ideologizzazione nella comunità mondiale. La fedeltà evangelica alla verità, che in situazione di violento confronto con il male si trasformanella spada di Cristo (cfr. Mt 10,34), ha ceduto il posto all’ideologia del politicamente corretto, che crea l’illusione della possibilità di pacificare il male. Il giusto riconoscimento secondo cui la verità assoluta appartiene solo a Dio si è trasformato in una trappola del relativismo etico, che legittima persino le menzogne consapevolmente costruite. Ecco perché è così importante per i cristiani riflettere criticamente sulle loro concezioni fino ad oggi, al fine di ritrovare la verità tra i meandri delle nuove ideologie, e quindi riacquistare la loro capacità di «ascoltare la sua voce» (Gv 18, 37).
21. Le sfide attuali, che vengono create dalla dottrina del «mondo russo» e le inclinazioni verso il relativismo, portano nella comunità umana un grande confusione spirituale e nella concezione del mondo, a causa della quale molte persone e persino singoli governi perdono la capacità di distinguere tra verità e menzogna, tra il bene e il male. La tragedia della guerra attuale risiede nel fatto che viene minacciata la credibilità del linguaggio stesso dei valori spirituali, perché la Russia e altri regimi autoritari usano questo linguaggio per inclinare i cuori delle persone verso un terribile peccato: «gente che ha una religiosità solo apparente, ma ne disprezza la forza interiore» (2 Tm 3,5). Per esempio, il concetto di «lotta spirituale» ha acquisito un significato distorto in Russia ed è screditato nel momento in cui il confronto spirituale con il male diventa l’unico mezzo di salvezza per l’umanità.
22. La manipolazione ideologica della dottrina del «mondo russo» («russkij mir») non solo porta a perdite a livello della percezione del mondo, ma anche a perdite pastorali. Difendendo apparentemente gli interessi del popolo russo ed elevandolo al di sopra degli altri popoli, questa dottrina in realtà lo lascia senza la cura pastorale. Visto che le anime dei russi, invece di ascoltare la voce di Dio, ascoltano la voce del cesare terreno, per questo diventano indifesi di fronte ai demoni della storia russa. Quindi, in senso spirituale, il gregge di questa Chiesa è abbandonato a sé stesso.
ІІI. Resistenza nonviolenta
23. Guardando l’esempio di Cristo e seguendo gli insegnamenti dei suoi discepoli e apostoli, molti dei primi cristiani sceglievano il cammino spirituale che oggi viene descritto come resistenza nonviolenta. Erano convinti che l’esempio di perdono e di misericordia di Gesù, il suo rifiuto di difendere la propria vita con la violenza fisica, fosse una chiamata etica che escludeva un discepolato che avrebbe acconsentito allo spargimento di sangue. Proprio questa fu la via che seguirono gli antichi principi di Kyiv, Borys e Hlib, che rifiutarono di partecipare nella lotta dinastica e difendere se stessi con mezzi violenti (cfr. Mt 26,52). Per questa impresa spirituale, la Chiesa di Kyiv li ha proclamati tra i primi santi della terra di Kyiv.
24. Nel corso della storia, questa forma di resistenza all’aggressione ha assunto varie forme e implementazioni pratiche. In particolare, nell’epoca del Medioevo, da quegli ambienti che desideravano il rinnovamento della Chiesa, si levavano richiami al ritorno all’astinenza «precostantiniana» da ogni forma di legittima difesa che prevedevano l’uso delle armi. Sono ampiamente conosciuti oggi anche i movimenti nonviolenti del XX secolo.
25. Nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo «Gaudium et Spes» i padri del Concilio Vaticano II affermavano: «Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità»[6]. Pensieri simili li troviamo anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica[7]. Mentre nel Catechismo della Chiesa greco-cattolica ucraina, intitolata «Cristo è la nostra Pasqua» leggiamo: «La guerra è un crimine contro la vita, perché porta con sé sofferenza e morte, dolore e ingiustizia. La guerra non può essere considerata un modo per risolvere le questioni conflittuali. Per questo esistono altri mezzi che corrispondono alla dignità umana: il diritto internazionale, il dialogo onesto, la solidarietà tra gli Stati, la diplomazia»[8]. Pertanto, fin dai tempi di questo Concilio, la Chiesa ha sottolineato il diritto di ogni persona di fare la scelta morale e di discernimento nelle circostanze militari.
26. La tradizione di resistenza nonviolenta menzionata è diventata una parte importante dell’esperienza spirituale dell’umanità, tuttavia non può essere considerata l’unica dotata di legittimità evangelica. Sant’Agostino giustamente osservava: «Se la dottrina cristiana definisse tutte le guerre come un peccato, allora ai soldati che chiedevano consiglio su come salvare la propria anima, nel Vangelo sarebbe stata data la risposta di deporre le armi e sottrarsi agli obblighi del servizio militare. Invece è stato detto loro di non maltrattare e non estorcere niente e di accontentarsi delle loro paghe[9] (cfr. Lc 3,14). In altre parole, il servizio militare dovrebbe essere un servizio di pace e giustizia per il bene comune.
27. Il Vangelo è pacifico e pacificatore, ma non pacifista (nel senso moderno del termine). Non annulla il dovere dello Stato di proteggere la vita e la libertà dei suoi cittadini. Dopotutto, come afferma il santo apostolo Paolo, lo Stato «non invano porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male» (Rm 13,4). La persona ha diritto a un giusto processo, all’autodifesa, all’inviolabilità della propria salute e della propria vita, quindi il compito dello Stato è garantire tutte le condizioni per l’attuazione di questi diritti. Pertanto, Dio ha conferito allo Stato il potere di fermare la violenza, proteggere gli innocenti, mantenere la pace e consegnare i criminali alla giustizia. Per questo esistono le strutture di potere e le forze armate. È necessario distinguere tra forza e violenza, perché non tutti gli usi della forza sono violenza. Lo Stato deve prendersi cura di un giusto processo, perché il suo compito è garantire l’instaurazione della giustizia. Se lo stato incoraggia le persone a fare qualcosa che è contro la loro coscienza, allora dovremmo farci guidare da ciò che insegnano le Scritture: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini!» (At 5,29)[10].
28. È estremamente importante comprendere contestualmente e correttamente le parole di Gesù sul porgere l’altra guancia (Mt 5,39) e sull’amore per i nemici (Mt 5,44). Possiamo perdonare le offese personali, ma non abbiamo il diritto di rimanere in silenzio quando assistiamo alla violenza rivolta contro altre persone. Per di più, ci sono prove nelle Scritture che l’oppresso non rimase in silenzio a causa della violenza contro di sé. Così, diceva Gesù: «Perché mi percuoti?» (Gv 18, 23), mentre san Paolo avvertiva il suo oppressore: «Dio percuoterà te, muro imbiancato!» (At 23, 3). Perdonare, quindi, non significa tacita approvazione delle azioni dell’offensore e sottomissione al male, ma piuttosto il loro superamento con la forza di Cristo. Questo mostra soltanto che il cristiano affida a Dio il ripristino della giustizia, perché «Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore» (Rm 12,19).
29. I pacifisti contemporanei, ignorando completamente i fondamenti evangelici dell’oggettività della Verità, spesso vedono la pace come il frutto della pacificazione del male o del compromesso con esso. Tuttavia, nel 1979 in Irlanda, San Papa Giovanni Paolo II affermava che la pace è il risultato dell’osservanza dei «principi etici»[11]. Ciò corrisponde pienamente alla tradizione profetica: «Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre» (Is 32, 17). Nel 1981, il medesimo Papa espresse la convinzione che «le guerre insorgono a seguito di invasioni o come risultato dell’imperialismo ideologico, dello sfruttamento e di altre forme di ingiustizia»[12].
30. Al fine di raggiungere una pace apparente, i pacifisti sono spesso pronti, consciamente o inconsciamente, esentare i trasgressori della pace dalla loro responsabilità. Le argomentazioni possono essere diverse e, talvolta, anche altamente morali, come ad esempio il desiderio di evitare ulteriori vittime umane. Proprio questa argomentazione risuona spesso nel contesto dell’aggressione su larga scala della Russia contro l’Ucraina. Le parole dell’apostolo Paolo dovrebbero essere un monito per i creatori di una pace ingannevole: «E quando la gente dirа: ”C’è pace e sicurezza!”, allora d’improvviso la rovina li colpirà…» (1 Ts 5,3). Perché l’aggressore giunge alla conclusione che la sua violenza diventa un suo diritto legittimo e cerca in tutti i modi di ottenere il riconoscimento di questo «diritto al crimine» sotto forma di legittimazione degli interessi geopolitici e della loro giustificazione. La mancanza di un’adeguata condanna e reazione a tali atti da parte della comunità internazionale e dei leader ecclesiastici crea l’illusione del successo di un simile modello di comportamento dell’intero Stato, il quale [modello] non solo non trova un’equa opposizione, ma per di più si diffonde rapidamente come modello legittimo di relazioni internazionali. La forza del diritto internazionale viene sostituita dalla cieca legge del più forte. Invece del rispetto della dignità e dell’inviolabilità della sovranità dei soggetti di diritto internazionale, si affermano i «diritti» esclusivi e speciali delle moderne potenze mondiali, che si presentano nelle relazioni internazionali come coloro che possono avere il diritto di «patronato» sugli altri stati sovrani o dichiarare direttamente la perdita di diritto all’esistenza di un determinato stato e di qualche popolazione. In questo modo viene minata la fiducia nel diritto internazionale e di qualsiasi accordo di pace internazionale, che si basa su di esso.
La cooperazione internazionale e la fiducia reciproca viene meno, il mondo comincia ad armarsi e sprofonda sempre più in un’atmosfera di paura, minacce reciproche e ultimatum. Questo modo di impostare le relazioni tra gli stati oggi, quando la sovranità dei soggetti di diritto internazionale viene sacrificata in nome della soddisfazione delle pretese di qualche potenza mondiale, ricorda molto il clima internazionale in Europa e nel mondo prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Di fatto, l’aggressore si sente ancora una volta impunito e gioca su questa paura. Pertanto, l’esperienza dell’attuale aggressione da parte della Russia dimostra che: privi dei principi, gli slogan di pacificazione, proclamati da alcuni pacifisti, incoraggiano l’aggressore alla continua violenza. In questo contesto storico, il gesto profetico dell’Ucraina di trent’anni fa, del suo rifiuto di possedere armi nucleari e la fiducia nei firmatari del Memorandum di Budapest, un accordo internazionale siglato il 5 dicembre 1994 tra Ucraina, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Gli Stati sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina in relazione all’acquisizione dello status di paese libero dagli armi nucleari, è un gesto profetico di fiducia nella forza del diritto internazionale da parte del popolo cristiano e un manifesto delle sue aspirazioni nazionali per una sicurezza e pace giusta. Questo gesto merita oggi un’attenzione particolare e una nuova riflessione.
31. Tra le ragioni principali dell’attuale impegno a favore delle idee del pacifismo c’è anche il pericolo sempre crescente di guerra con l’uso delle armi nucleari. Spesso, invece di dichiarare l’inammissibilità di una simile guerra e trovare modi per abbandonarla totalmente, oggi si sentono teorie sui «limiti dell’autodifesa legittima» degli stati non nucleari e sulla «capitolazione legittima» per evitare eventuali vittime. Tuttavia, davvero è possibile evitare che ciò avvenga deponendo le armi davanti all’aggressore? Questa è una domanda che è sorta acutamente nel contesto dell’aggressione russa contro l’Ucraina, e la risposta deve essere data dall’intera comunità internazionale. L’ipotetica sottrazione da parte della Russia, che è uno Stato nucleare, dalla responsabilità di una violazione penale del diritto internazionale e di un attacco a uno Stato sovrano non farà altro che accelerare la crescita del numero di Stati nucleari sul pianeta.
Ora, dopo l’inizio dell’aggressione su larga scala della Russia contro l’Ucraina, come mai prima d’ora, gli stati non-nucleari sentono la loro completa vulnerabilità di fronte ai proprietari di testate mortali. Se si tiene conto dell’assedio e del bombardamento delle centrali nucleari ucraine da parte della Russia, la situazione diventa ancora più cupa. Come si può parlare, oggi, di sicurezza internazionale quando uno Stato, che è membro del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e possiede uno dei maggiori arsenale nucleare del pianeta, per raggiungere i suoi obiettivi aggressivi, costituisce da solo una minaccia per questa sicurezza e ricorre a un evidente ricatto nucleare nei confronti della comunità internazionale? Su un simile comportamento brutale, il profeta Michea scriveva: «Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità» (Mi 2,2).
32. Rispettare i Dieci Comandamenti è un prerequisito necessario per una società giusta, mentre la guerra è una brutale violazione dei Comandamenti di Dio. Come viene evidenziato nella sopracitata Costituzione «Gaudium et Spes», «ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità ed è un crimine che va condannato con fermezza e senza esitazione»[13]. Può la comunità umana lasciare senza condanna e responsabilità il genocidio degli ucraini, compiuto dall’esercito russo a Bucha, Borodyanka, Irpin, Mariupol e in molti altri territori occupati dell’Ucraina? Chi difenderà le vittime e le loro famiglie? L’attuale appello degli ucraini alla comunità internazionale per il ripristino della giustizia è pienamente sostenuto dalla Chiesa, poiché ha sempre fatto e fa una scelta a favore degli oppressi. In questo risiede la sostanza del suo mandato, ricevuto dal Signore nostro Gesù Cristo, e la sua guardia contro l’ingiustizia, che non giunge da sola: «Ecco, il malvagio concepisce ingiustizia, è gravido di cattiveria, partorisce menzogna» (Sal 7, 15).
IV. Guerra difensiva e legittima difesa
33. Sin dai tempi di sant’Ambrogio di Milano (340–397) e di sant’Agostino (354–430), considerando le reali circostanze del mondo peccaminoso in cui viviamo, la Chiesa si è fatta guidare dalla regola, conosciuta oggi come teoria della guerra giusta. Questo approccio escludeva qualsiasi aggressione non provocata e qualsiasi uso immotivato della forza e conteneva anche le regole di conduzione della guerra.
34. Nel corso della storia, molti intellettuali cristiani hanno riflettuto su questi principi. La chiara presenza del male nella storia ha portato a comprendere che la tutela del prossimo e la propria sopravvivenza prevede la necessità di resistere all’aggressione armata. Riflettendo sull’esperienza della Prima guerra mondiale, il Venerabile metropolita Andrey Sheptytskyi parlava del diritto del popolo all’autodifesa e alla «legittima difesa della propria terra, delle proprie famiglie e delle proprie case»[14]. E affinché la difesa non si trasformi in violenza e soddisfi i criteri di proporzionalità di tale autodifesa, sono stati sviluppati alcuni principi di guerra giusta difensiva o, come si dice oggi, principi di difesa legale.
Il progresso scientifico e tecnologico, che ha portato allo sviluppo di armi nuove e più pericolose, e dunque, nuove minacce, e l’emergere di nuove forme di organizzazione sociale non potevano non influenzare l’evoluzione della teoria del concetto di giustizia in una simile guerra. Il processo di ripensamento di alcuni suoi aspetti fu particolarmente attivo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Papa Pio XII (1939–1958) considerava giuste le guerre difensive e sottolineava che le altre nazioni hanno il dovere di non abbandonare un paese attaccato in difficoltà. I padri del Concilio Vaticano II hanno affermato nella Costituzione «Gaudium et Spes» che «fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa»[15].
35. Dopo la Seconda guerra mondiale e la creazione delle Nazioni Unite (ONU), il diritto internazionale ha cessato di operare con il concetto di «guerra giusta» ed è passato al totale divieto di fare la guerra. Secondo lo Statuto dell’ONU, l’uso della forza armata contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato è riconosciuto come illegale e si constata che tutte le controversie tra Stati devono essere risolte con mezzi pacifici in modo tale da non mettere in pericolo la pace internazionale e sicurezza nonché la giustizia[16]. Successivamente, nella Risoluzione 3314 (XXIX) «Definizione di aggressione», adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1974, è stato osservato che nessuna considerazione di natura politica, economica, militare o di altro tipo può giustificare un atto di aggressione[17].
36. L’uso della forza è consentito solo su decisione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nella misura in cui sia necessario per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionale o in caso di legittima difesa contro un attacco armato. Pertanto, lo Statuto delle Nazioni Unite stabilisce che il diritto all’autodifesa individuale o collettiva contro un attacco armato è inalienabile, e lo Statuto stesso non limita in alcun modo questo diritto inalienabile[18].
37. Santo Papa Giovanni XXIII ha cercato di spostare il focus della discussione sui temi della guerra e della pace sulla costruzione della pace, tuttavia non ha negato il diritto delle nazioni all’autodifesa in caso di attacco non provocato[19]. Pertanto, la Chiesa ha preso le distanze dalla pratica del pacifismo ingenuo, che spesso si trasforma in cecità morale nel distinguere tra il bene e il male. Per di più, san Papa Paolo VI metteva in guardia contro «l’insidiosità del pacifismo puramente tattico, che stordisce il nemico che deve essere sconfitto e uccide negli animi la comprensione della giustizia, del dovere e del sacrificio»[20].
38. La Chiesa cattolica insegna che la legittima difesa armata contro un aggressore ingiusto, come la guerra in generale, è sempre l’estrema e ultima risorsa a cui può ricorrere una parte esposta al pericolo. Lo sottolinea il Catechismo della Chiesa greco-cattolica ucraina «Cristo è la nostra Pasqua»: «L’uso della forza militare può essere consentito solo in caso di estrema necessità come mezzo di legittima difesa, e il guerriero-cristiano è sempre un difensore della pace»[21]. E il Catechismo della Chiesa Cattolica delinea gli elementi di una giusta guerra difensiva: «È necessario definire con attenzione le esatte condizioni della legittima difesa con l’ausilio della forza militare. La gravità di tale decisione la sottopone a rigorose condizioni di legalità morale.
Per fare questo occorre contemporaneamente che: il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare»[22], ossia quando negoziati, arbitrati, compromessi e altre strade hanno fallito. In quanto creatura razionale, l’uomo è obbligato, quando possibile, a prendere decisioni facendosi guidare dal buon senso e basandosi sulle leggi, piuttosto che sull’uso della forza. Affinché la tutela giuridica sia giusta, è necessario tenere presente la sicurezza dei civili. Questa difesa ha sempre un obiettivo chiaramente limitato: una pace giusta, e non la completa distruzione del popolo, dell’economia o delle istituzioni politiche del nemico. Per il raggiungimento della pace giusta è necessario utilizzare mezzi limitati e proporzionati: gli armamenti e la forza devono essere ridotti a una necessità definita per respingere l’aggressione e fermare futuri attacchi.
39. Nell’enciclica «Fratelli Tutti», il Santo Padre Francesco mette in guardia da una «interpretazione troppo ampia» del diritto alla difesa legale, che alcuni potrebbero utilizzare per attacchi «preventivi» o azioni che portano più male di quello da eliminare; ha aggiunto, inoltre, che «oggi è molto difficile sostenere i criteri maturati in altri secoli per parlare di una possibile ”guerra giusta”[23]. Questa è un’osservazione valida se si considera il modo in cui la propaganda russa giustifica l’aggressione contro l’Ucraina. Tuttavia, tale manipolazione da parte della Russia non indica forse la necessità di sviluppare criteri più chiari e definiti per la difesa legittima, che renderebbero impossibile all’aggressore fingere di essere una vittima?
40. Alla luce dell’insegnamento della Chiesa cattolica, le Forze di sicurezza e di difesa dell’Ucraina esercitano la legittima difesa legale dello Stato e del popolo. Oggi, non mancano prove che la Russia non era in alcun modo disposta a risolvere le sue controversie con l’Ucraina al tavolo dei negoziati come con un partner paritario e la propria indipendenza e autonomia decisionale. Il paese aggressore respinge il diritto stesso all’esistenza del popolo ucraino e del suo stato come soggetto di diritto internazionale, rifiutando la possibilità di dialogo e di accordi con l’Ucraina indipendente. È impossibile «dialogare con qualcuno che non esiste», ripete costantemente la propaganda russa.
Secondo la più recente ideologia rascista russa sopra menzionata, la «questione ucraina» deve essere risolta una volta per tutte attraverso la completa distruzione di tutto ciò che è ucraino. Incominciando dal 2014, la Russia ha compiuto atti di aggressione non provocati contro l’Ucraina, prima occupando la penisola di Crimea, e poi dando via a una guerra per procura nel Donbas. Nel 2022, ha compiuto un’invasione su larga scala e, utilizzando un’ampia gamma di armi, distrugge senza pietà le infrastrutture civili, terrorizza e uccide i civili. L’esercito ucraino si oppone ad una macchina militare estremamente potente, che utilizza l’intera gamma di armi avanzate e, che in aggiunta, minaccia periodicamente di lanciare un attacco nucleare contro un paese non-nucleare, di cui ha garantito la sicurezza e l’integrità territoriale firmando il Memorandum di Budapest nel 1994.
V. Neutralitàin tempo di guerra
41. La neutralità può davvero essere il risultato di un giudizio e di un’analisi accurati. Esistono situazioni in cui un determinato paese non vuole approfondire il conflitto per via del suo forte coinvolgimento in esso o vuole diventare un mediatore tra le parti in conflitto. Tuttavia, tale neutralità ha i suoi rischi nascosti: c’è un limite oltre il quale una tale posizione inizia a tradire i propri valori e principi e a giocare a favore del disonesto. Se essa [la neutralità] è causata dall’indifferenza, dalla codardia, o da un atteggiamento pregiudiziale o atteggiamento utilitarista, allora diventa una scelta moralmente errata, e non una manifestazione di una profonda comprensione delle cause e delle conseguenze della disputa (cfr. Pro 24,11–12; Mt 12,30; Gb 4,17; Ap 3,15–16).
42. Tenendo presente tali situazioni, Papa Pio XII, nel suo messaggio di Natale del 1948, affermò che in caso di aggressione ingiusta, «la solidarietà della famiglia dei popoli interdice agli altri di comportarsi come semplici spettatori in un atteggiamento d’impassibile neutralità», e aggiunse che è impossibile valutare i danni «già cagionati in passato da una tale indifferenza verso la guerra di aggressione», e che tale posizione «non ha fatto altro che calmare e incoraggiare gli autori e i mandanti dell’aggressione»[24].
43. In tempo di guerra, la neutralità deve essere affrontata con una profonda comprensione degli aspetti etici e morali. Potrebbe esserci un legittimo desiderio di prevenire ulteriori spargimenti di sangue o di facilitare una soluzione diplomatica del conflitto. Tuttavia, la neutralità non dovrebbe estendersi al punto da diventare un’approvazione passiva dell’ingiustizia e del crimine, poiché esiste un imperativo morale di resistere all’aggressione ingiusta contro qualsiasi paese e di difendere i valori su cui si basa la comunità internazionale. Le lezioni della storia, su cui poneva l’accento Papa Pio XII, ci ricordano duramente che l’indifferenza verso gli atti di aggressione può avere conseguenze di vasta portata. Le nazioni sono obbligate a valutare i limiti della loro neutralità politica, che non può diventare morale, altrimenti si trasformerà in un tradimento di valori e principi fondamentali. In momenti così critici, la comunità internazionale deve superare la semplice indifferenza e lavorare attivamente per la giustizia, la pace e la preservazione della dignità umana.
44. L’aggressione russa contro l’Ucraina non è una lotta per il territorio conteso: è un attacco al diritto internazionale e un crimine contro la pace. La guerra attuale in Europa è un conflitto di identità a somma zero, poiché gli ucraini cercano di preservare la propria indipendenza statale e il diritto di essere ucraini, e i russi cercano di privare gli ucraini del loro diritto di esistere come tali e ricostruire il loro impero. E le atrocità dell’esercito russo contro la popolazione civile, seguiti dal mondo intero quasi in diretta live, sono un brutale oltraggio alla dignità umana e un crimine al livello di genocidio. Il perseguire l’apparente neutralità in una situazione del genere è un tradimento dei valori del rispetto del diritto internazionale, della giustizia e della dignità umana. È una posizione basata sugli interessi piuttosto che sui principi.
45. La neutralità artificiale e formale spinge molti a interpretare entrambe le parti contrapposte simmetricamente, come politicamente e moralmente uguali, ignorando le vere cause di questa guerra e le sue circostanze, e per questo essa è destinata alla sconfitta etica. Questa sconfitta è determinata anche dal fatto che la guerra russo-ucraina è radicalmente diversa dai conflitti militari tradizionali. In questa situazione è impossibile mantenere la neutralità morale, bisogna piuttosto fare una scelta a favore dei valori: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24).
46. Certamente, ci sono paesi nel mondo che, considerando un certo percorso degli eventi storici o le specificità del loro ruolo nella comunità internazionale, dichiarano la neutralità permanente in caso di qualunque conflitto armato, e quindi aderiscono costantemente ai principi a cui questo status obbliga loro. Tra questi Stati un posto speciale occupa la Santa Sede, la cui neutralità positiva consiste nel fatto che non si limita all’osservazione, ma cerca di promuovere il dialogo tra le parti in conflitto. Nel servire la causa della pace e della cooperazione internazionale della Sede Apostolica, è necessario distinguere due tipi di neutralità: diplomatica e morale. Tuttavia, nelle azioni della Santa Sede non vediamo in nessun caso alcuna neutralità morale. Ad esempio, nel caso dell’ingiusta aggressione della Russia contro la nostra Patria, essa distingue chiaramente l’aggressore e la vittima del suo attacco e sostiene sempre colui che è diventato questa vittima: il popolo ucraino.
47. Attualmente, la tradizione millenaria del ruolo del Vescovo di Roma come massimo arbitro del mondo cristiano, cioè la posizione «super partes» che si trovano in stato di guerra, ha dato e consente al Vaticano di svolgere un ruolo importante, a volte decisivo, nella risoluzione di una serie di situazioni di conflitto in tutto il mondo, nonché nel facilitare la creazione di canali per lo scambio di prigionieri e il sollievo delle sofferenze della popolazione civile.
48. L’importanza di questa mediazione non può essere sopravvalutata nemmeno nelle condizioni dell’attuale aggressione della Russia contro l’Ucraina: molte madri e mogli ricordano con gratitudine il ruolo del Santo Padre nella liberazione dei soldati catturati o dei bambini deportati. Tali fatti diventano particolarmente significativi quando gli sforzi di mediazione diplomatica del Vescovo di Roma si coniugano armonicamente con il linguaggio della fede, che ha il coraggio di chiamare male il male, sanando le ferite umane con questa parola di verità, come è avvenuto, ad esempio, l’8 gennaio 2024, durante l’incontro di Papa Francesco con il corpo diplomatico, accreditato dalla Santa Sede. In quell’occasione il Papa ha ricordato ai partecipanti che è stata la Russia a lanciare una guerra aggressiva contro l’Ucraina, e ha sottolineato che i crimini di guerra richiedono una risposta adeguata da parte della comunità internazionale[25].
VI. L’obiettivo della tutela legittima è una pace giusta
49. Rivolgendoci con questo messaggioa tutte le persone di buona volontà, vogliamo mettere in rilievo che è nostro dovere cristiano e civico proteggere la vita del nostro prossimo, soprattutto dei bambini, delle donne e degli anziani, nel modo più coraggioso e radicale, prendendo in mano le armi, pronti a sacrificare la propria vita per questo, come insegnava Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13). Ci siamo trovati in una situazione in cui dobbiamo difendere le persone dai disumani.
50. Nell’etica cristiana, la pace giusta significa molto più della semplice vittoria sull’aggressione. L’etica della guerra giusta che prevale nella comprensione cristiana dei problemi della guerra e della pace, si è sviluppata nel Medioevo, quando la Chiesa ha applicato il concetto di giustizia: un desiderio costante di garantire a tutti ciò che è dovuto loro. Questo concetto è diventato la base del diritto internazionale moderno, in cui significa il diritto delle nazioni e dei popoli all’indipendenza. Le radici della comprensione della giustizia si trovano nella Bibbia, qui essa indica una relazione completa e giusta, che vengono espressi dal termine ebraico «tzaddyk» e dal greco «δικαιοσύνη». Questa giustizia è coerente con i diritti e con la legge, ma è più ampia perché include anche virtù come il dono e la misericordia. Essa raggiunge il suo apogeo nella riconciliazione da parte di Dio del mondo con se stesso attraverso la croce e la risurrezione, che l’apostolo Paolo chiama giustizia di Dio (cfr. Rm 3,21–26; 2 Ts 1,6).
51. Gli ucraini, naturalmente, desiderano che la guerra termini il prima possibile e che arrivi la pace tanto attesa. I santi Agostino e Tommaso d’Aquino credevano che il fine di una guerra giusta fosse la conseguente pace giusta. Papa Paolo VI ha ribadito questo concetto nella Giornata della Pace del 1972[26]. Tuttavia, la fine della guerra non può essere considerata vera pace se significa la fine dell’Ucraina.
52. L’obiettivo della legittima difesa del proprio popolo e del suo governo è garantire una pace giusta per tutte le parti, pertanto sono inammissibili la vendetta, la conquista, il vantaggio economico e la sottomissione. Una pace giusta non può essere né la «pacificazione» dell’aggressore, né la cosiddetta «pace minima», che implica il riconoscimento dei territori occupati dall’aggressore. Tale pace [giusta] deve essere duratura e inviolabile, con il ripristino dei principi del diritto internazionale. Tale pace prevede non solo la vittoria sull’aggressore e il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche misure volte a ripristinare le corrette relazioni tra Ucraina e Russia e a sanare le ferite causate dalla guerra, tra cui: rivelazione della verità e riconoscimento dei criminali, processi in tribunali penali internazionali, riparazioni, scuse politiche e perdono, memoriali, nuove costituzioni e forum di riconciliazione locale.
53. Per raggiungere una pace giusta in Ucraina, le Chiese cristiane, le organizzazioni internazionali e le istituzioni politiche dovrebbero sforzarsi a condurre una retorica estremamente chiara di condanna dell’aggressione militare e degli atti di genocidio della Russia contro l’Ucraina, nonché realizzare il perseguimento penale dei criminali di guerra. Il male impunito continua a causare ancora più danni.
54. Le numerose vittime che la Russia ha causato in Ucraina nel corso della storia, in particolare nel XX secolo, così come dopo l’invasione su larga scala del 24 febbraio 2022, dovrebbero essere al centro dell’attenzione della comunità mondiale, al fine di dare una corretta valutazione di questi reati continui.
55. L’aggressione russa in Ucraina ha costretto il mondo a vivere nuove esperienze e nuovi traumi, simili a quelli patiti dall’umanità durante la Seconda guerra mondiale. Le terribili conseguenze di questa invasione russa devono essere superate ora e prese in considerazione mentre si lavora per rafforzare l’architettura di sicurezza dell’Ucraina e del mondo. Alla base di questa architettura di sicurezza globale e sostenibile dovrebbero essere posti i principi di una pace giusta, e verso questo obiettivo dovrebbero essere diretti gli sforzi degli Stati, delle organizzazioni internazionali e delle Chiese cristiane.
Conclusione
56. C’è «un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli» dice l’Ecclesiaste (Eccl. 3,5), e la nostra epoca lo conferma. L’attuale regime in Russia ha preso l’iniziativa fino a poco tempo fa di smantellare la struttura di sicurezza internazionale, per ridistribuire gli equilibri nel mondo e stabilirvi le proprie regole. Le istituzioni e i meccanismi internazionali che hanno sostenuto quest’ordine stanno ora mostrando la loro impotenza di fronte all’assalto dei distruttori di quest’ordine.
57. Tutto questo è stato non solo una scossa per la comunità mondiale, ma anche una sfida per la Chiesa di Cristo. Poiché la sua dottrina, che su iniziativa dei democratici cristiani europei ha dato il via alla costruzione di una civiltà pacifica che è stata una paradigma per mezzo secolo, si è in gran parte adattata alle regole consolidate. Oggi è importante ricordare che il Vangelo non è semplicemente una raccolta di precetti su cui si basa l’insegnamento cristiano, ma la Parola di Dio, che ci incoraggia a un rinnovamento eterno del nostro spirito e a una rivalutazione della realtà di questo mondo.
58. Lo stesso Ecclesiaste ci ricorda che c’è: «un tempo per tacere e un tempo per parlare» (cfr. Eccl. 3, 7). Quindi c’è un momento in cui la Chiesa parla con voce pastorale, adempiendo al comandamento del Signore: «Pascola le mie pecore!» (Gv 21,16–17). C’è un momento in cui la Chiesa parla con voce di maestra, impartendo istruzioni: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mat. 28, 20). E c’è un momento in cui la Chiesa deve parlare con la sua voce profetica, offrendo ai malati un raggio di speranza su come si può superare il male: «lo hanno vinto grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza, e non hanno amato la loro vita fino a morire» (Ap. 12, 11). Noi, cristiani, dobbiamo pregare molto affinché la voce profetica della Chiesa di Cristo diventi convincente.
59. L’Ucraina è diventata il centro dei cambiamenti globali e sta affrontando prove terribili oggi. Il male è reale: abbiamo visto il suo volto. Le voci delle persone innocenti uccise e crudelmente torturate, brutalmente violentate e deportate contro la loro volontà gridano alla coscienza del mondo. Gli ucraini non mettono in discussione l’importanza di valutare razionalmente le minacce e di esaminare attentamente le mosse politiche. Tuttavia, è altrettanto importante conservare la capacità di guardare agli eventi attuali attraverso gli occhi delle vittime.
60. Il mondo non è riuscito a fermare il tiranno moscovita e a metterlo in guardia che «il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai» (Gn. 4, 7). Oggi, mentre il genocidio avviene in modalità online, è giunto il momento opportuno di dire apertamente a questo tiranno che ha attirato su di sé la maledizione dal Cielo, condannandosi a diventare «ramingo e fuggiasco sulla terra» (cfr. Gn 4, 12).
61. Come dovrebbero agire i cristiani in tutto il mondo oggi? Prima di tutto, è necessario rendersi conto della globalità della minaccia attuale e affermare e sviluppare la forza del diritto internazionale giusto. È erronea la convinzione di una parte della società internazionale che questa guerra sia semplicemente un conflitto locale tra due popoli e che, quindi, risolvendo le loro divergenze, si possa tornare alla consueta comodità. Oggi sono minacciate tutte le fondamenta della civiltà umana.
62. Per raggiungere i propri obiettivi imperialisti e misantropici, la Russia da molti anni utilizza come strumento la cosiddetta guerra ibrida, i cui elementi includono: creazione di dipendenza economica in determinati paesi, guerra dell’informazione attraverso la diffusione di propaganda e fake news, corruzione dei leader delle organizzazioni internazionali e dei politici, minacce e distruzione dei propri cittadini dissidenti che sono riusciti a emigrare in altri paesi, e così via. L’obiettivo della Russia è quello di creare minacce e caos, al fine di successivamente annettere i territori di altri paesi o offrire loro il proprio «aiuto» per ottenere il controllo su di essi. Tale politica subdola e distruttiva richiede alla comunità internazionale un riconoscimento rapido delle minacce globali e una chiara valutazione morale da parte della Chiesa.
63. Iniziando una guerra ibrida contro l’Ucraina, la Russia ha sfidato, in verità, tutto il mondo civilizzato. Lo ha sconvolto così tanto che molte persone hanno smesso di distinguere verità e menzogna, e di conseguenza anche bene e male. Sotto i nostri occhi si sta verificando una terribile sostituzione: ciò che è malvagio si veste con i panni del bene; e ciò che è buono viene marchiato come malefico. In un mondo distorto in questo modo, non sarà possibile né evitare né fermare le guerre. Le dichiarazioni verbali sfocate e il linguaggio politico ambiguo saranno impotenti, e la neutralità diplomatica senza chiari fondamenti e punti di riferimento si trasformerà gradualmente in relativismo morale o addirittura in debolezza, che già oggi impedisce a molti politici nel mondo civilizzato di riconoscere l’aggressione delle truppe russe in Ucraina come genocidio del popolo ucraino, poiché ciò richiederebbe il loro intervento. Attualmente, molti cristiani appartenenti alla generazione postmoderna del mondo occidentale, semplicemente non vedono il genocidio del popolo ucraino e non sentono le grida delle vittime, ma, per non perdere la facciata, continuano a esprimere la propria preoccupazione e profondo turbamento.
64. Tutto questo può essere superato solo con una chiara e inequivocabile proclamazione della Verità evangelica. Se l’umanità contemporanea, l’umanità dell’ «epoca della post-verità», non riconosce la verità oggettiva, finirà per trasformarsi gradualmente in un «mondo della post-giustizia». Se essa non svilupperà e non promuoverà la giustizia sociale basata sui principi fondamentali della dignità umana, della santità e dell’integrità della vita umana, del bene comune e della solidarietà, allora ci troveremo in società in cui il concetto di diritto viene sostituito dal concetto di interessi di individui o gruppi criminali, il diritto del più forte prevale sulla sovranità del diritto, la legge non è uguale per tutti e i principi del diritto internazionale e l’integrità della sovranità statale sono vittime degli interessi geopolitici ed economici dei centri del potere del nostro mondo contemporaneo.
65. La voce dell’Eterna Verità evangelica, la sua incarnazione nei rapporti sociali e internazionali, ha una storia unica nella tradizione della Chiesa di Kyiv e nella nostra millenaria tradizione di costruzione dello Stato. Questa Verità eterna e Giustizia è riflessa nella luce della nostra Santa Sofia — la Sapienza Divina, la matrice immutabile dello sviluppo del popolo ucraino e della patria, ed è formulata in modo preciso come punto di riferimento per le relazioni sociali e internazionali, nel motto millenario «Non permettere ai potenti di distruggere l’uomo!» dall’eterno «Insegnamento ai figli» del gran principe Volodymyr Monomakh di Kyiv (1053–1125). «Non permettete ai potenti di distruggere l’uomo!» rappresenta un richiamo della Chiesa di Kyiv alla coscienza del cristiano contemporaneo e alla sua visione dello sviluppo dell’insegnamento sociale della Chiesa sulla giustizia e sulla pace nel mondo moderno. «”Non permettete ai potenti di distruggere l’uomo!” è il grido dell’Ucraina sofferente alla comunità mondiale, affinché essa proclami i valori oggettivi dell’equa costruzione sociale e della cooperazione internazionale.
66. Il Venerabile metropolita Andrey Sheptytskyi durante i momenti di follia della Seconda guerra mondiale ha esortato nei sinodi arcivescovili a una nuova comprensione dei comandamenti di Dio come via per realizzare i principi vitali della verità della legge di Dio nella costruzione di una società giusta. Perché solo ripristinando l’applicazione legislativa dei Dieci Comandamenti si può sperare nel ripristino della pace Divina. Senza questo, l’ennesima minaccia che si è presentata all’umanità potrebbe rivelarsi l’ultima[27]. Questo appello è particolarmente attuale nel contesto dell’aggressione russa ad oggi.
67. «Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13, 8). Il Signore desidera che i suoi discepoli siano ora come all’inizio del cristianesimo, coraggiosi nell’aderire alla verità; che non chiudano gli occhi di fronte all’orribile ingiustizia, cercando di ottenere guadagni economici e assicurarsi tranquillità. La vita di Gesù, il suo insegnamento e le sue azioni, sono un esempio e una luce di grazia per noi, su come essere veri esseri umani, che sono stati creati all’immagine e somiglianza di Dio e che sono portatori della forza pacificatrice dello Spirito Santo. Essi testimoniano il suo governo saggio e giusto nel mondo. Questo esempio è così puro e comprensibile che non può essere sostituito da nessuna diplomazia o politica contingente che non tenga conto della dignità e dei diritti dei singoli individui e di ogni popolo.
La benedizione di Dio discenda su di voi!
A nome del Sinodo dei Vescovi
della Chiesa greco-cattolica ucraina
in Ucraina
† SVIATOSLAV
Dato a Kyiv,
presso la Cattedrale Patriarcale della Resurrezione di Cristo,
nel giorno della Commemorazione di San Costantino, filosofo,
del nome monastico Cirillo, apostolo degli slavi;
Sant’Aussenzio, sacerdote ed archimandrita;
San Marone, eremita.
14 febbraio 2024 A. D.
[1] Lettera pastorale del metropolita Andrey Sheptytskyi «Alla gioventù ucraina» (Lviv, 1932)
[2] Cfr. Tommaso d’Acquino, Somma di teologia, 1 a 2 ae, q. 92, art. 1, ob. 4; q. 105, art. 1; 2 a 2 ae, q. 50, art. 1, ob. 2; De reg. princ., lib. 1, cap. 1; lib. 3, cap. 7
[3] Dichiarazione dei teologi ortodossi sulla dottrina del «russkij mir», 13 marzo 2022
[4] Ibidem
[5] Kyiv, 10 gennaio 2024
[6] P. 78
[7] P. 2306
[8] P. 989
[9] Lettera 138, A Marcellino, p. 15
[10] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio, p. 503
[11] Omelia della Santa Messa, Drogheda, 29 settembre 1979, p. 8
[12] Discorso in occasione della Giornata della Pace, 1 gennaio 1981, p. 8
[13] P. 80
[14] Lettera pastorale al clero e ai fedeli «Sulla penitenza e sulla comunione frequente», Lviv, 5 febbraio 1939
[15] P. 79
[16] Cfr. Art. 2, p. 3 e 4
[17] Cfr. Art. 5, 1
[18] Cfr. Art. 51
[19] Cfr. Enciclica sull’instaurazione della pace universale nella verità «Pacem in terris», 11 aprile 1963
[20] Discorso in occasione della Giornata della Pace, 1 gennaio 1981
[21] P. 990
[22] P. 2309
[23] P. 258
[24] Radiomessaggio ai fedeli in occasione del Natale, 24 dicembre 1948.
[25] Cfr. Discorso al Corpo Diplomatico Accreditato presso la Santa Sede, Città del Vaticano, 8 gennaio 2024
[26] Cfr. Discorso in occasione della Giornata della Pace «Se vuoi la pace, lavora per la giustizia», 1 gennaio 1972
[27] Cfr. Atti dei Sinodi Arcieparchiali di Lviv degli anni 1940–1943 sotto la guida del metropolita Andrey Sheptytskyi, Winnipeg, 1984